Il diciannovesimo secolo nella Motta del 1820
Il diciannovesimo secolo fu un periodo particolarmente importante tanto per la storia nazionale, quanto per la storia locale: fermenti sociali, tensioni, malesseri e ansie di rinnovamento spesso sfociarono in rivolte di popolo caratterizzando gli sviluppi storici di una Nazione, nonché di una Regione ostaggio di “altri” che legiferavano e spadroneggiavano su un popolo che finalmente aveva avvertito il bisogno e l’estrema necessità di essere “italiano” dalle Alpi alla Sicilia.
In Piemonte e nel Lombardo-Veneto esplosero i primi moti insurrezionali guidati da Silvio Pellico, Pietro Maroncelli e dal conte Santorre di Santarosa per opporsi con decisione all’Austria. È questo anche il periodo delle prime Società Segrete: Giuseppe Mazzini fonda, dopo l’esperienza della Carboneria, la Giovane Italia, dalla Francia rimbalzano ancora gli ideali che avevano pienamente animato la Rivoluzione Francese e ancora sotto il piano politico-sociale si ripropongono tutti quegli ideali che già nel 1723 avevano visto sorgere il primo nucleo massonico, la “Fidelitas”, presso la cittadina di Girifalco in Calabria.
Tuttavia fin dal 1820 la frammentazione della penisola in stati, in parti illiberali e troppo spesso in conflitto, aveva spinto i rivoluzionari della penisola a elaborare e a sviluppare un’idea di patria più ampia e ad auspicare la nascita di uno Stato nazionale.
Relativamente alla nostra Regione, la presenza Borbonica in poco tempo portò a dei malesseri sociali che nel giro di pochi mesi sfociarono in una serie di tensioni proprio presso la città di Reggio, da sempre considerata fedele ai Borbone e dove oramai da tempo operava un comitato composto da Stefano Romeo, Girolamo Arcovito, Domenico Muratori, Antonino Plutino, Domenico Spanò Bolani, Giovanni Carrozza, Antonio Furnari e Cosimo Repaci. Tuttavia anche oltre la città dello Stretto covavano malcontento e malumore contro i Borbone e lo stato di cose in generale che portarono a quella seria e operosa rivolta che vide protagonisti indiscussi della storia, triste e misera del tempo, Michele Bello, Pietro Mazzone, Gaetano Ruffo, Domenico Salvadori e Rocco Verduci, passati alle triste e gloriosa cronaca come i Cinque Martiri di Gerace.
A questi echi insurrezionali non restò estranea Motta San Giovanni che già a partire dalla fine del XVIII secolo e nei primi anni del secolo successivo, presentava tuttavia una vita politico-culturale abbastanza attiva come evidenziano le delibere del Decurionato mottese di quel periodo.
Nel momento in cui giunsero i Francesi si manifestarono idee e tendenze liberali. I Francesi, con la loro politica cercarono di limitare gli abusi e lo strapotere di una classe sociale locale che deteneva il controllo di buona parte delle attività economiche del paese condizionandone anche la vita politica come risulta da alcuni atti giudiziari riguardanti un processo svoltosi proprio in quel periodo e che vide interessato anche il Sindaco del tempo.
Con l’affermarsi della Santa Alleanza ripropose nuovamente i vecchi signorotti sui loro territori; ciò avvenne anche per il territorio mottese. Gli ideali di libertà furono così nuovamente repressi. In questo preciso momento storico appare ben documentata in atto d’archivio oltre che in libello del 1884, a livello politico e sociale, la presenza di una “cellula” di una società segreta facente capo alla Frammassoneria che cercava di far emergere nuovamente gli ideali libertari.
Ecco quanto riportato nella fonte appena citata: “Nel 1820 esisteva a Motta un circolo di Frammassoni. Era stato fondato da un certo Pannuti Vincenzo da Bagaladi, paesello, vicino a Motta. Nomino a titolo d’onore le persone Mottesi che facevano parte di quella società.
Antonio Maropati - Presidente
Vincenzo Aprea - 1° Assistente
Barreca Gennaro - Maestro di cerimonie
Pugliatti Franceco - Oratore
Fortunato Asprea
Francesco Pitea
Catanoso Pietro fu Antonio”.
La Frammassoneria a Motta vi rimase fino all’occupazione austriaca, momento in cui venne definitivamente repressa in modo decisivo. Nonostante ciò le idee rivoluzionarie e liberali riuscirono a sopravvivere e anche Motta portò il suo contributo per il patriottismo in nome di tutti quei cittadini che oramai si sentivano italiani e desideravano solo l’Unità del Paese.
A Motta così come nel resto del Paese si continuava a cospirare, continuavano a cadere le teste di coloro che osavano ribellarsi in nome di quella tanto sospirata libertà. Uomini generosi e spiriti patriottici venivano condannati al patibolo ma parallelamente sempre più aumentava il numero dei cospiratori e degli “educatori alla libertà” per l’Indipendenza e l’Unità d’Italia. E nella Motta degli anni ’40 del diciannovesimo secolo si fece strada la forte e decisa personalità del Cav. Damaso Pugliatti che rincuorava i dubbiosi e infondeva l’amor patrio.
Nel 1848 col pretesto che i liberali fossero pronti a proclamare la Costituzione, i borbonici alla fiera del Leandro, generavano una violenta lite e grazie alla complicità dei magistrati istituivano il famoso processo Cardona nel quale furono coinvolti, tra i tanti, i mottesi: De Paola Vincenzo e il Notaio Catanoso.
I concetti di libertà e identità nazionale, spiriti libertari e nuove prospettive di cambiamento prendono il via anche qui, in questo piccolo lembo di territorio, la cui storia segue di pari passo,e in qualche caso addirittura anticipa, lo sviluppo dei grandi fenomeni storico-sociali di una Italia che si apprestava, all’inizio del Novecento, a grandi e radicali trasformazioni.