Coletta di Amendolea

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Un Rimatore Volgare della Valle dei Greci di Calabria

 

Gli influssi della civiltà e della cultura umanistico-rinascimentale che nel corso del XIV e del XV secolo investirono la penisola italiana, da nord a sud, con i rinnovati interessi per lo studio delle humanae litterae e della nuova civiltà volta sempre più verso un rinnovato interesse storico, certamente non mancarono di produrre i loro benefici effetti anche in Calabria, dove già si erano manifestati segnali di una notevole vivacità culturale di non trascurabile importanza se consideriamo che, prima di autori come Petrarca, Bracciolini, Salutati, Bruni e Poliziano, furono i nostri Padri Reggini a offrire un contributo decisamente importante, alla copiatura e alla trasmissione dei più illustri testi dell'antichità classica con figure di rilievo quali il monaco Barlaam di Seminara e Leonzio Pilato.

Nel variegato contesto storico di riferimento, segnato dai continui dissidi tra Angioini e Aragonesi per il costante controllo dei territori in riva allo Stretto, si colloca anche la personalità di un altro illustre e sicuramente poco conosciuto rimatore che scelse come lingua di composizione poetica, il volgare, Coletta di Amendolea.

Le notizie biografiche relative a questo autore sono sfortunatamente scarse. Sappiamo con certezza, poiché sono i suoi stessi versi che lo confermano quando si definisce “grosso ingegno calabrese”, di essere un personaggio nato nella prima metà del XV secolo nella provincia ionica reggina, ad Amendolea, nella valle dei Greci di Calabria.

Il padre fu Antonello che dopo essersi ribellato alla famiglia degli Aragona, perse con un provvedimento datato 25 Luglio 1459 il feudo stesso di Amendolea.

Coletta trascorse molti anni della sua vita a Napoli e in grandi ristrettezze economiche; infatti gli venivano versati mensilmente soltanto 20 ducati che servivano solo per le sue esigenze primarie. Nel 1480, tuttavia, ottenne una grande quantità terriera facente parte del Casale di San Biase come risarcimento secondo quanto aveva stabilito la Gran Corte della Vicaria, relativo a un credito della somma di 350 ducati da pagare da parte di un tale Iacopo Ferraro.

Altre notizie relative a questo poeta della civiltà umanistico-rinascimentale che affonda le sue radici nella tradizione poetica di stampo popolare, ci rimandano alla partecipazione dello stesso Coletta, molto probabilmente in qualità di testimone, alla lettura della sentenza di un processo tenutasi in data 14 Novembre 1486 che vedeva condannati a morte tutti i baroni ribelli alla Corona.

Battista Stravandria di Gerace intorno al 1481 riportava fedelmente “ad instantiam magnifici viri Colette di Amendolia de Napoli” il volgarizzamento Libri tres de Primo Bello Punico del Bruni e Li fatti degli Rey et Consoli et Imperadori Romani (Cod.3400 della Biblioteca Nazionale di Vienna).

Anche i Thriumphi del Petrarca riportano un commento datato 3 Marzo 1484 dedicato al “magnifico Signore Coletta de Amendolea” descrivendolo quale uomo di grande ingegno e somme qualità.

Di Coletta di Amendolea si conoscono circa 10 componimenti suddivisi tra ballate, barzellette e strambotti identificabili per le grandi invettive e per la prevalente tematica popolare velata da impeto, malinconia e allo stesso tempo di frenesia poetica.

Sotto il profilo linguistico, tutti gli studiosi che si sono occupati di analizzare scientificamente la sua produzione letteraria, hanno concordato nell’evidenziare la forte presenza nei suoi testi di notevoli vocaboli riconducibili, sotto il profilo fonetico e lessicale, al dialetto reggino.

Tra i suoi componimenti più noti sicuramente merita di essere menzionato il canto galeotto De dolore io me ‘nde aucio quando sento dire aiossa nel quale viene descritto il dolore provato da un marinaio nel momento in cui, lontano dalla sua amata donna, trovandosi a remare forzatamente su una galea catalana, viene incitato sempre più a remare dalla voce forte e decisa del proprio capitano.

Come ha già sottolineato nel corso dei suoi studi il Prof. Pasquino Crupi: <<esiste sia pure in maniera non organica, un rapporto tra società calabrese e letteratura presente nei primi testi letterari del Quattrocento, come documentano gli strambotti di Coletta, curvati in qualche modo dalla parte della denuncia delle aspre condizioni di vita delle plebi meridionali>>.

 

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