Tra il 1995 e il 1998 hanno avuto inizio le prime sistematiche campagne di scavo dirette dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici della Calabria nella frazione Lazzaro del Comune di Motta San Giovanni, su un terreno già segnalato alla fine dell’800 come sede di una importante villa romana conosciuta da sempre in paese per via del rinvenimento quale una piccola epigrafe, oggi andata sfortunatamente perduta e recante la scritta «olim Valeri deliciae, nunc Maropati», che indicava quei ruderi quali abitazioni della villa di un nobile patrizio reggino, forse un liberto, di nome Publio Valerio il cui nome ricorre anche nell’alta letteratura latina, quale quella del grande Marco Tullio Cicerone che lo nomina nelle sue Filippiche (I,7) per averlo ospitato nel 43 a.C. fuggiasco da Roma e diretto in Grecia.
Facente parte di questo grande complesso abitativo inserito in un contesto urbano di notevole rilevanza e del quale sfortunatamente non ci è giunta alcuna traccia, c’era un’ampia struttura identificata dagli studiosi e dagli archeologi nel corso delle varie campagne di scavo, in un grande mausoleo funerario di proprietà della famiglia notabile. Si tratta dei resti questi ultimi, di una imponente struttura a pianta rettangolare dalle dimensioni di circa mt. 17 x 9 e suddivisa, per tutta la sua estensione, da un setto trasversale a 1/3 della sua lunghezza.
Questa struttura era sormontata da una volta dallo spessore di circa 2 mt. costruita con pietre laviche e pomici in modo da ridurre il carico-peso sulle strutture portanti.
La certezza di essere i resti di un mausoleo funerario furono subito avvalorati dal rinvenimento di una tegola graffita in lingua greca, illustrata dal compianto Prof. Franco Mosino, contenente il testo di una preghiera e dal rinvenimento dei pezzi di almeno due sarcofagi in marmo di forgia sicuramente orientale vista la loro lavorazione di alto pregio artistico nell’elaborazione grafica, databili con ogni probabilità al II-III sec. d.C.
Nel corso degli scavi sono anche emersi altri frammenti riferibili sempre ai due sarcofagi, di probabile forgia attica e scolpiti con figurazione a rilievo.
Secondo uno studio di Elena Lattanzi, i frammenti marmorei dei sarcofagi rinvenuti a Lazzaro sono molto similari ad altri frammenti rinvenuti presso Melito di Porto Salvo in proprietà Ramirez e riportano in entrambi le tipologie, figure raffiguranti il mito di Fedra e Ippolito in attività di caccia. Si tratta di raffigurazioni assolutamente comuni scolpite a rilievo con scene figurate tipiche della produzione attica che trattano svariati temi come quello della cacciagione in associazione a storie di personaggi perlopiù di rango imperiale.
Relativamente ai primi frammenti, tutti di un primo sarcofago, si evidenziano una serie di figure maschili ad altorilievo vestite con una tunica corta bordata di rosso e stivali e sembrerebbero essere dei cavalieri. Altri frammenti dello stesso sarcofago presentano una testa femminile senza volto, una testa forse equina e un torso di figura servile. Poi c’è un altro grande frammento, sempre dello stesso, sarcofago, che conserva le teste di due cavalieri armati di lancia e parte della criniera di un equino su uno sfondo di alberi. La datazione di questo primo sarcofago si riferisce alla metà del II sec. d.C.
Un secondo sarcofago, la cui datazione è sicuramente con quasi con certezza il III sec. d.C., di manifattura asiatica di marmo bianco a grana fine detto docimeno, è stato rinvenuto nelle immediate vicinanze del primo descritto sopra.
Il Docimeno era uno dei marmi più pregiati utilizzato in età tardo-imperiale e veniva spesso usato proprio per la realizzazione di questa particolarmente bella tipologia di sarcofagi detta di “Sidamara”. Le raffigurazioni rappresentate su questo secondo sarcofago sono perlopiù di tipo architettonico poiché le figure umane si stagliano in prospettiva, su strutture architettoniche sullo sfondo quali edicole sorrette da colonnine tortili sormontate da capitelli corinzi con l’uso di timpani e lunette.
Particolarmente interessante risulta essere proprio uno di questi frammenti. Dalla sua attenta osservazione, è possibile notare sulla destra, nella parte alta del frammento stesso, la raffigurazione, sempre in rilievo, di un uovo di dimensioni più ridotte rispetto al naturale che adorna la scultura stessa abbellendola, conferendole un tocco di particolarità e attribuendole un grande valore simbolico.
Infatti proprio i romani così come la maggioranza dei popoli antichi, hanno attribuito al simbolo e all’uovo stesso una straordinaria importanza. Basti pensare che per tradizione, i contadini usavano sotterrare uova colorate di rosso nei loro campi come segno e auspicio di fertilità della terra. Tale tradizione, inizialmente in uso solo in età monarchica e prima età repubblicana, è poi invalsa anche nel resto della cultura romana e dei territori assoggettati dalla grande urbe divenendo lentamente una costante sociale e un simbolo morale anche in caso di morte e di eventi funerari. Infatti Omnem vivum ex ovo usavano dire i romani in riferimento al fatto che proprio la vita, anche la più piccola forma, si sia originata dall’uovo.
Ma nel suo significato più profondo, nel suo più alto valore simbolico e morale, nel suo simbolismo più religioso, più spirituale e più puro, tanto sotto il profilo pagano quanto sotto quello cristiano, l’uovo nella cultura dei romani ha rappresentato l’ideale e l’immagine della vita, del flusso vitale, l’elemento dal cui guscio nasce e ri-nasce la vita stessa.
Dalla contestualizzazione del luogo e del periodo di riferimento dei reperti è possibile affermare con assoluta certezza, che il proprietario di questa lussuosa villa avesse fatto costruire proprio nelle immediate pertinenze della stessa, la tomba di famiglia e avesse fatto giungere gli splendidi e pregiati sarcofagi dall’Oriente in modo da poter ospitare le proprie spoglie mortali dopo la sua morte e quelle dei suoi cari. Non conosciamo dallo stato delle ricerche se si trattasse di un mausoleo funerario di una famiglia di credo pagano o di credo cristiano ma in entrambe le ipotesi la presenza della raffigurazione dell’uovo è ben esplicita e chiara nella sua simbologia e nel suo significato. Infatti l’uovo è simbolo e immagine della vita che si genera, del mistero e quasi della sacralità.
Facendo una contestualizzazione circa la datazione del periodo, nel corso del I-II sec. d.C. presso Leucopetra, si assiste alla convivenza di più credi religiosi; credi di matrice pagana, cristiana ed ebraica; fase che si consoliderà maggiormente poi nei sec. IV-V come documentano alcune testimonianze archeologiche custodite presso il Museo stesso di Lazzaro.
Infatti secondo l’iconografia attribuita dal Paganesimo, l’uovo è simbolo di fertilità, dell’eterno ritorno della vita, di un flusso continuo e perenne che non conosce la morte. Secondo l’iconografia attribuita all’uovo dal Cristianesimo, questo elemento raffigurato sui sarcofagi rappresenterebbe la Resurrezione, il suo guscio rappresenta la tomba dalla quale esce un essere vivente rinato.
La rappresentazione dell’uovo tuttavia trova inoltre ampi riscontri nella storia delle civiltà. Già nella mitologia dei popoli mesopotamici si affermava che Astarte fosse nata da un uovo depositato sui fondali del fiume Eufrate che sospinto a riva dalle correnti fu covato poi per lungo tempo da una colomba.
Presso i popoli anatolici ed i Frigi in particolare, la Gran Madre Cibele diede origine, grazie ad un uovo che era stato avvolto per sette volte dal suo serpente, a tutte le cose esistenti in natura. In Egitto invece l’uovo aveva un grande valore simbolico quale elemento cosmico ed universale. Infatti i sarcofagi egizi venivano considerati come un guscio, una sorta di protezione per il defunto che doveva compiere il suo viaggio verso lo sconosciuto mondo ultraterreno.
Presso la Civiltà Greca invece la simbologia dell’uovo trova ampio riscontro nella mitologia; il mito di Leda e del Cigno infatti appare essere sostanzialmente basato proprio sulla simbologia dell’uovo e sul suo alto valore morale. Infatti sembra che la bella principessa Leda fosse stata fecondata a sua insaputa da Zeus producendo due uova; dalla schiusa del primo nacquero i gemelli Castore e Polluce mentre dalla schiusa del secondo sarebbe nata Clitennestra, futura moglie di Agamennone ed Elena futura moglie del re Menelao.
Presso i Cartaginesi e gli Etruschi, all’uovo venne tributato il simbolo dell’immortalità. Infatti tanto a Cartagine quanto presso le necropoli etrusche spesso venivano raffigurate scene dei defunti che tenevano un piccolo uovo tra le mani come segno di rinascita.
Nella cultura ebraica invece l’uovo ha da sempre rappresentato la continuità e l’eternità della vita anche dopo la morte. Infatti presso gli Ebrei, durante i tradizionali banchetti, l’uovo non veniva mai diviso tra i commensali poiché il suo smembramento avrebbe voluto indicare la distruzione dell’esistenza.
Anche il Cristianesimo, come S. Agostino ci ha testimoniato, accolse la simbologia e il valore morale dell’uovo collegandola alla Pasqua e al suo profondo significato di una resurrezione dopo la morte. Simboli, immagini, flussi di civiltà ben radicati nella cultura di Roma antica e che, attraverso questi reperti, riverberano ancora il fascino sublime di vite vissute all’insegna di credi giunti sulle sponde calabre da luoghi lontani.