Bumbuli e Bumbulari

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L'arte della ceramica e il territorio

Una tradizione antica che affonda, per il nostro territorio, le sue radici nell’arte della ceramica delle più antiche civiltà del Mediterraneo, ripresa poi, come le fonti storiche e storiografiche ci hanno tramandato, confermate per Leucopetra - Lazzaro dai dati archeologici, da Greci e Romani che si sono stanziati sul nostro litorale lasciando i segni magnifici di questa splendida arte che ancora oggi affascina non solo gli studiosi ma anche una folta schiera di appassionati.

Dalle Lekythoi greche della stipe votiva dello Stretto della Ferrina alle anfore Keay LII ai Bumbuli il passo, percorrendo la memoria delle tappe della nostra storia, sembra essere davvero breve.

Lazzaro e il suo territorio hanno quindi sempre avuto un rapporto strettissimo con l’arte ceramica grazie anche alla notevole quantità di argilla presente proprio sul nostro territorio.

Peccato però che questo inestimabile patrimonio storico-antropologico lentamente abbia subito un lento e inesorabile declino e di quest’arte tramandata attraverso la storia, con ogni probabilità alle future generazioni, ormai resta solo qualche labile traccia.

Quello che ha costituito un grande patrimonio economico e culturale è ormai andato completamente disperso; solo pochi anziani conservano ancora gelosamente la memoria di quei tempi e di quei luoghi dove, intorno agli anni ’40 - ’50 del secolo scorso e con naturale continuità fino a qualche trentennio addietro, si era sviluppata una fetta importante dell’economia del paese.

A testimonianza di ciò rimangono solo qualche vecchio tornio, qualche forno di cottura e piccolissimi attrezzi metallici che venivano usati dall’artigiano, u Bumbularu, per la rifinitura del pezzo.

Oggetti semplici, di uso comune che avevano il compito di soddisfare i più elementari bisogni di uso domestico e quotidiano erano alla base di questa rilevante produzione, tanto rilevante che proprio a Lazzaro Vecchio l’intera zona di case adiacenti al Torrente S. Vincenzo e fino all’attuale cappella dell’Addolorata prese la comune denominazione di “Bumbulari” proprio a indicare la presenza delle numerose botteghe d’arte che ivi vi sorgevano.

Un’economia così vasta e importante che alcuni anziani raccontano che spesse volte giungevano dalla dirimpettaia costa sicula i barconi dei commercianti per acquistare le mercanzie lazzaresi.

E tornano così alla mente, in un continuo oscillare tra la memoria diventata storia e la realtà, i nomi di alcuni artigiani: Mastro Ilio Caridi, Mastro Orlando Latella, Mastro Paolo Musarella solo per citarne alcuni e i tanti avvenimenti che hanno segnato quella microstoria che costituisce una parte integrante della “Storia”.

Una produzione sufficientemente vasta e di tutte le dimensione fatta di ciaramiti, coppi per la copertura dei tetti; di giarri, contenitori a bocca larga per olio e olive in salamoia; bumbuli e quartari utili per il trasporto dell’acqua visto e considerato che il prezioso liquido non c’era nelle case e che occorreva andare a prenderlo quotidianamente nei pozzi, o in qualche fontanina pubblica; salaturi, caratteristici contenitori a forma cilindrica per gli alimenti sotto sale, tiani, contenitori per la cottura delle vivande e bavani, contenitori di dimensioni maggiori per uso alimentare.

Un lavoro quello del bumbularu alla base costituito da un particolare e laborioso processo di preparazione dell’argilla. Infatti una volta giunta nella bottega veniva ripulita e porzionata in piccole quantità. Sulla base poi della destinazione d’uso dei contenitori, l’argilla veniva posta in un’apposita vasca con acqua salata presa a mare per la produzione cosiddetta “bianca” che comprendeva quartari, bumbuli e vasi in genere o con acqua dolce per la produzione stagnata che comprendeva giarri, salaturi bavani.

Successivamente ogni singola porzione veniva lavorata al tornio per la sagomatura e venivano esposte poi tutte insieme al sole per qualche giorno. Nel frattempo l’artigiano preparava un liquido anche questo di natura argillosa detto “iuzzu” utilizzato però solo sulla produzione stagnata col il quale passava l’interno e l’esterno di ogni pezzo che veniva riposto nuovamente al sole.

Ultimata questa fase il bumbularo preparava lo stagno per la stagnatura dei pezzi che venivano così stagnati e riposti ancora per un paio di ore al sole prima di essere infornati per la cottura.

 

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