La Regione Calabria è una zona geografica il cui sottosuolo, in determinate aree, è particolarmente ricco di minerali. Due sono le aree il cui sottosuolo presenta una notevole quantità di interessanti minerali; la prima è quella della Valle dello Stilaro dove sono presenti i bacini minerari maggiori per estensione, la seconda invece è quella dell’area di alcuni territori sullo Stretto suddivisi in due distinte zone: la prima localizzata nella zona nord-occidentale dell’Aspromonte e la seconda localizzata sul versante meridionale dello Stretto stesso dove ricade la Vallata del Valanidi con la localizzazione di alcune miniere proprio nei territori compresi tra il limite comunale di Motta San Giovanni e il limite comunale di Reggio Calabria.
I primi dati relativi a una certa attività estrattiva dell’area del Valanidi si rifanno al 1274 quando un documento della cancelleria angioina ubica una serie di miniere di argento nella città di Reggio Calabria situate nella località Palanidi le quali erano state rese operative dalla politica riformatrice di Carlo I D’Angiò. Durante il triste periodo della Guerra dei Vespri tuttavia l’attività minerario-estrattiva conobbe una fase di chiusura per poi riprendere in modo consistente a partire dal XVII sec. nel momento in cui Carlo VI D’Asburgo decise di riattivare il settore minerario sia della Sicilia che della Calabria a causa dei continui dissidi tra gli Asburgo e i Borbone per il controllo e la gestione del Regno di Napoli.
Carlo III di Borbone addirittura, subito dopo la guerra di successione polacca e il definitivo tracollo della Spagna, fece giungere alcuni esperti nell’arte estrattiva e successivamente lavorativa dei metalli, affinché riprendessero le esplorazioni e avviassero il processo di industrializzazione mineraria per la produzione metallurgica. Tale iniziativa va collocata storicamente tra il 1749 e il 1756 e di essa restano ancora vive testimonianze, oltre che su alcuni documenti, in alcuni toponimi presenti nella zona del Valanidi stesso.
Ferdinando IV, succeduto al padre, tuttavia molto presto abbandonò la ricerca di tutti gli altri metalli già precedentemente avviata dai suoi predecessori e si concentrò solo ed esclusivamente sui minerali di tipo ferroso.
Sono questi gli anni in cui la Calabria riscopre un grande rilancio sotto il settore minerario-produttivo con la nascita delle ferriere che sicuramente hanno contribuito a dare impulso e vitalità all’economia di una regione che da lì a breve avrebbe conosciuto gli albori di un perenne declino economico-sociale. Anche l’area del Valanidi e di Motta San Giovanni conobbero in parte, i fasti di questa rinascita economica con la riapertura di una delle miniere che diventò nel giro di poco tempo, il volano dello sviluppo economico dell’intero territorio mottese.
A partire però dal 1823, secondo quanto riportato da una descrizione relativa a una ispezione per un censimento generale, le miniere della Vallata del Valanidi appaiono essere abbandonate e assolutamente inagibili. Le ultime notizie certe relative all’attività estrattiva e lavorativa, si hanno a partire dal 1832 nel momento in cui un barone di nome Nunziante chiese formalmente al governo di poter riattivare le miniere che versano in condizione di degrado e abbandono.
Subito dopo la fase dell’Unità d’Italia, si apprende che alcune strutture della fonderia presente sul Valanidi vennero riconvertite a mulini soprattutto a partire dal 1870 in seguito all’introduzione della Legge sul macinato come riportato da una vecchia iscrizione di un mulino di contrada Allai o alcuni atti documentali della Prefettura della città di Reggio.
Da una serie di ricognizioni di superficie, sono stati ampiamente censiti e documentati per quattordici siti esistenti in quest’area suddivisi in due macrozonazioni: la prima, fatta di affioramenti argentiferi, compresa tra la sponda sinistra della fiumara e le contrade Allai e Musieti e la seconda individuata nei pressi di Trunca.
Sia l’area di Serro Valanidi che di Rosario Valanidi hanno portato gli studiosi all’individuazione di tre importanti siti forse destinati alla lavorazione prima dei metalli, allo stoccaggio del legname e ad abitazioni dei lavoratori.
Fuori dall’area della Vallata del Valanidi tuttavia, lo studio del territorio ha permesso di individuare anche altri siti di tipo estrattivo, sicuramente di minore rilevanza ma non sicuramente di minore importanza che gravitavano su questo territorio: il primo in località San Niceto, nei pressi del castello, indicato topograficamente come Grotta Inferno, il secondo localizzato in contrada Volini nei pressi di Motta Sant’Agata vicino Gallina e il terzo localizzato nella zona del Monte Pittaro a est del centro abitato di Motta San Giovanni.
Sempre nel corso degli studi relativi al territorio in oggetto, le ricognizioni di superficie hanno consentito di individuare e localizzare con precisione la miniera dell’Argentiera, conservata ancora oggi in buono stato e che, a quanto risulta anche dall’analisi delle fonti, ha ben consentito di documentare le fasi dello sfruttamento minerario.
Dal punto di vista tecnico, si tratta di uno scavo perpendicolare alla roccia nella parete del costone della montagna. A poca distanza dall’ingresso del tunnel, sono ben individuabili altre cavità e gallerie, tutte connesse tra loro e anche queste utilizzate per l’attività estrattiva.